giovedì 3 ottobre 2013

Cartella di pagamento, vizi propri e provvedimenti giudiziari.

La sezione tributaria della Cassazione con la sentenza n.15652 del 21 giugno 2013 approfondisce il tema della impugnabilità della cartella per vizi propri.
Com'è noto, di regola la cartella di pagamento è impugnabile solo per vizi propri.
Tale principio trova eccezione allorquando il contribuente viene a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notifica della cartella medesima.
Precisa la Cassazione che tuttavia quando la pretesa impositiva sia fondata su provvedimenti giudiziari, il contribuente non può impugnare la cartella, ma deve esperire i mezzi di impugnazione previsti dalla legge.

Di seguito la sentenza:

S.G. proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Caserta avverso la cartella esattoriale con la quale il Servizio di Riscossione Tributi di Caserta gli aveva intimato, in virtù di iscrizione a ruolo, il pagamento della somma di euro 10.860,43, dovuta -a titolo di IRPEF, ILOR ed interessi- in seguito a decisione della CTR Campania, che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva confermato la legittimità dei relativi avvisi di accertamento concernenti gli anni 1990 e 1991.
A sostegno del ricorso assumeva che, dopo la sentenza di primo grado che aveva annullato entrambi gli avvisi, non aveva avuto alcuna notizia di un presunto appello dell'Ufficio avverso detta sentenza.
L'adita CTP accoglieva il ricorso, rilevando che la cartolina di ricevimento della raccomandata, con la quale l'Ufficio aveva assunto di avere spedito l'atto di appello presso il procuratore rag. A. B., recava una firma non riconducibile al detto procuratore.
Con sentenza depositata il 7-11-2005 la CTR Campania accoglieva l'appello dell'Ufficio; in particolare la CTR rilevava, in conformità con precedente statuizione della S.C., che, nel caso (quale quello di specie) di notifica effettuata presso lo studio del professionista presso il quale il contribuente aveva eletto domicilio, si doveva presumere che la persona che aveva ricevuto l'atto fosse abilitata alla ricezione; in ordine alle sanzioni evidenziava che l'Ufficio aveva proceduto per tutte le violazioni riscontrate ed aveva applicato il principio del favor rei.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione il contribuente, affidato a tre motivi; resisteva l'Agenzia con controricorso.
Con il primo motivo il contribuente, deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 16,20 e 53 d. Igs. 546/92, nonché dell'art. 141 cpc e dell'art. 7 L. 890/82, ribadiva che la cartolina di ricevimento della raccomandata, con la quale l'Ufficio aveva assunto di avere spedito l'atto di appello presso il procuratore rag. A. B., recava una firma non riconducibile al detto procuratore, sicché, alla stregua delle predette norme, essendo stata eseguita la consegna a persona non identificabile e senza l'attestazione della qualifica della detta persona, la notifica dell'atto di appello doveva essere dichiarata nulla.
Con il secondo motivo il contribuente, deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, si doleva che la CTR aveva affermato la sussistenza della presunzione di cui sopra senza fornire al riguardo una pur mima motivazione.
Con il terzo motivo il contribuente, deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 3 e 12 d.lgs 472/97, rilevava che l'Ufficio, in sede di iscrizione a ruolo, non aveva provveduto al ricalcolo delle sanzioni irrogate negli avvisi di accertamento, ed aveva erroneamente determinato le stesse, senza considerare che il predetto art. 12 prevedeva la determinazione di una sanzione unica e che il su menzionato art. 3 stabiliva il principio del favor rei.
Il primo motivo è inammissibile, con conseguente assorbimento del secondo.
Come è noto, invero, la cartella esattoriale è impugnabile solo per vizi propri e non per vizi dell'atto da cui nasce il debito alla fonte dell'iscrizione a ruolo e della cartella, eccettuati i casi in cui solo attraverso la cartella il contribuente venga a conoscenza della pretesa impositiva e dell'atto con cui è stata accertata. Una siffatta eccezione non trova però spazio quando il debito (come nel caso in esame) sia fondato su provvedimenti giudiziari, i quali debbono essere impugnati con gli specifici strumenti previsti dalla norme processuali (nella specie, con l'impugnazione tardiva ex art. 38, comma 3, d.lgs 546/92), e non possono essere contestati attraverso un ricorso dinanzi al giudice di primo grado avverso la cartella esattoriale (in senso conf. v. Cass. 21477/2004 e Cass. 16641/2011).
Siffatto rilievo non consente a questa Corte di entrare nel merito del motivo medesimo, che, pertanto, come detto, va dichiarato inammissibile.
Il terzo motivo è infondato.
Rileva questa Corte che la CTR ha espressamente affermato che l'Ufficio ha proceduto per tutte le violazioni riscontrate ed ha applicato il favor rei di cui alle su menzionate disposizioni, sicché nessuna violazione e falsa applicazione può ritenersi verificata nel caso di specie; di conseguenza, non essendo stato dedotto alcun vizio motivazionale, il motivo, come detto, va rigettato.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento dei compensi di lite relativi al presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 2.200,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma in data 22-5-2013 nella camera di Consiglio della sez. tributaria.

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